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I parlatori tardivi o Late Talkers: tutto quello che devi sapere

Parlatori Tardivi o Late Talker tutto quello che sappiamo

I bambini sono predisposti a livello evolutivo a sviluppare il linguaggio in accordo con le tappe fisiologiche della crescita. Generalmente, un primo abbozzo di linguaggio avviene intorno agli 8 mesi con la cosiddetta lallazione fino alla comparsa delle vere e proprie parole compiute, intorno ai 2 anni (24 mesi).

Parlatori tardivi: di cosa si tratta?

Pur considerando che l’evoluzione segue delle tempistiche soggettive, ti potrà capitare di notare delle difficoltà per quanto concerne il linguaggio, ma solo se queste si prolungano oltre i due anni e mezzo si dovranno considerare anomale. Se ti sei accorta/o che il tuo bambino non conosce un ampio numero di parole. O proprio non ne pronuncia nessuna avrai sicuramente fatto delle ricerche in merito e avrai incontrato la definizione di parlatori tardivi.

I bambini late talkers o parlatori tardivi

I parlatori tardivi conosciuti anche come late talkers sono quei bambini che raggiunti i 30/36 mesi possiedono un vocabolario piuttosto ridotto o che manifestano delle difficoltà generiche per quanto concerne la parola.
In media, questi bambini, apprendono meno di 50 parole in 24 mesi e non sono in grado di combinare i vocaboli conosciuti. Tuttavia, è bene chiarire fin da subito che tale condizione risulta piuttosto diffusa, essi infatti rappresentano circa il 15% della popolazione totale e solo in rari casi la problematica sfocia in un vero e proprio disturbo del linguaggio.

Dato che non esistono indicatori precisi per stabilire se un late talker svilupperà o meno un disturbo specifico del linguaggio. È opportuno monitorare attentamente tutti i progressi o le difficoltà mostrate. Solo successivamente, se qualcosa appare anomalo, è sempre buona norma rivolgersi al proprio medico pediatra il quale saprà stabilire se sia necessario contattare uno specialista.

Verso i 3 anni i bambini che hanno mostrato un ritardo nel numero di parole apprese e utilizzate e nella capacità di combinarle, e che non hanno dato segni di un recupero spontaneo possono essere indirizzati ad una visita specialistica per valutare un eventuale disturbo specifico del linguaggio.

Quali sono le cause

Se hai cominciato ad informarti sul tema ti sarà sicuramente capitato di imbatterti in coloro che liquidano il problema come semplice pigrizia. Ecco, sgombriamo il campo da questi diffusi luoghi comuni.

In sintesi, un bambino potrebbe essere un late talker a causa di:

  • Fattori di variabilità individuale: ogni bambino ha i suoi tempi evolutivi che sono dettati dal DNA e in questo la variabilità individuale è davvero molto ampia
  • Fattori socio-culturali: il bambino è cresciuto in un ambiente socio-culturale che offre pochi stimoli verbali sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo (scarsità di parole e di varietà nel vocabolario degli adulti che lo circondano)
  • Fattori relazionali: i bambini apprendono il linguaggio in un contesto relazionale significativo per loro. Lo stimolo ad apprendere il linguaggio è quello di entrare in relazione e comunicare con l’adulto che si prende cura di loro. Questo adulto deve a sua volta coinvolgere il bambino in una relazione costante, fatta di scambi verbali e non verbali. Se l’adulto non si relaziona con il bambino l’apprendimento del linguaggio e di altre abilità sociali sarà fortemente compromesso.

A chi bisogna rivolgersi?

Se dopo i 30 mesi del bambino ti accorgi che il bambino conosce e produce meno parole dei coetanei o che non è in grado di combinarle fra loro su un piano semantico. La prima persona alla quale dovrai rivolgerti è il pediatra. Infatti, oltre ad essere un medico specializzato nella cura del bambino, questa figura possiede uno storico dello stato di salute del piccolo paziente. Per questo è in grado di analizzare in maniera completa il quadro clinico.

Se anche il pediatra dovesse confermare che il tuo bambino presenta delle difficoltà nel linguaggio procederà con la richiesta di una visita specialistica. Questa valutazione sarà neuropsicologica e logopedica. Con la raccolta di un’anamnesi accurata e l’esecuzione di alcuni esami di natura medica quali per esempio un controllo della funzionalità dell’apparato uditivo.

In caso venisse confermato un disturbo specifico del linguaggio si procederà con le terapie ritenute più opportune. Il trattamento riabilitativo maggiormente utilizzato in caso di disturbi del linguaggio è di sicuro la logopedia, che può essere erogata sia in forma individuale che in piccolo gruppo. In caso di adeguate competenze di comprensione si può attendere fino ai 36 mesi per intraprenderla, diversamente va valutata un’eventuale presa in carico precoce.

Sempre più frequentemente, alla terapia logopedica diretta vengono affiancati interventi indiretti, molto indicati soprattutto prima dei 36 mesi di vita del bambino. Un modello di intervento indiretto è il Parent Training in cui i genitori diventano protagonisti attivi dell’intervento riabilitativo del proprio bambino. Grazie alle strategie psicoeducative fornite dallo specialista. I genitori possono infatti utilizzare alcune strategie che hanno lo scopo di favorire uno sviluppo più adeguato sia delle competenze di comprensione che di produzione.

Come affrontare il problema senza stress

È bene affrontare la problematica senza stress o ansia. I genitori e i loro comportamenti, infatti, risultano fondamentali per promuovere un’evoluzione positiva o comunque per poter arrivare a una visita specialistica con maggiore consapevolezza del problema.

Giocando insieme, ad esempio, è possibile indicare gli oggetti scandendone lentamente il nome adattando l’intonazione e l’espressività.

Anche la lettura di libri può aiutare il bambino a conoscere e memorizzare nuove parole. In merito alla produzione delle parole, in questa fase transitoria, è bene che i genitori siano essi stessi modello di una pronuncia corretta e di un uso idoneo del vocabolo in relazione al contesto.

Una volta dato l’esempio è importante non correggere i bambini, ma piuttosto continuare a ripetere le parole nel modo giusto. I genitori devono anche evitare di semplificare eccessivamente il vocabolario che utilizzano con il bambino. Devono costruire un ambiente ricco di stimoli per coinvolgerlo in interazioni verbali sempre più complesse.